11 – Resistenza e Liberazione

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Con la fuga del Re e di Badoglio, che ripararono al Sud oltre la linea di fronte, l’esercito italiano venne lasciato completamente allo sbando, mentre il popolo italiano non aveva più un’istituzione che li potesse rappresentare e difendere. Questo vuoto di potere venne però colmato dai partiti antifascisti che si eressero a difensori della patria imbracciando la via della resistenza armata e unendosi nel Comitato di Liberazione Nazionale.

Ad Empoli fu quindi spontaneo che il Comitato interpartito si trasformasse automaticamente nel CLN, formato dal PCd’I, PSI, PdA, del quale venne eletto presidente  il comunista Pietro Ristori e vicepresidente il socialista Fortunato Ferretti.

La componente comunista, costituita da Catone Ragionieri, Virgilio Corti, Elio Bagnoli, Catone Maestrelli e Remo Caparrini, deteneva un ruolo egemonico, mentre una posizione più defilata fu sostenuta dai socialisti Bellarmino Paci, Sirio Fucini, Paolo Zanolla e dal cattolico Giuseppe Fucini. Come responsabili del direttivo militare furono nominati gli ex miliziani spagnoli Pietro Lari, Vasco Matteoli, Aureliano Santini e Ricciotti Sani[1].

Il CLN di Empoli ebbe l’incarico di lanciare, coordinare ed estendere l’organizzazione verso altri comuni limitrofi, contribuendo nel giro di pochi giorni alla nascita di altri Comitati di liberazione a Castelfiorentino, Fucecchio, Limite sull’Arno, Montelupo, Vinci, Cerreto Guidi, San Miniato e Montespertoli.

Sotto la sua guida venne organizzato un censimento di tutte le armi da poter impiegare nell’inevitabile lo scontro contro l’invasore nazista, raccogliendo armi vario genere, dal moschetto 91, a diversi tipi di rivoltella, mitra antiquati, e fucili da caccia.

Furono quindi arruolati operai, contadini, artigiani, reduci di guerra, i quali vennero formati  con un vero e proprio addestramento militare,che potesse prepararli nei conflitti armati con l’esercito nazista. Aureliano Santini mise a disposizione la propria esperienza della Guerra civile Spagnola, organizzando lezioni di tipografia, di orientamento con carta e bussola, di tattica e strategia militare ai compagni arruolati, scelti per ricoprire ruoli di comando[2].

I primi gruppi operativi che entrarono in azione furono le formazione delle SAP ( squadre d’azione patriottica e dei GAP ( Gruppi d’azione patriottica) entrambe ideate per la lotta urbana.

Le SAP erano squadre adibite ad azioni di disturbo contro fascisti, nazisti e Pubblica sicurezza, preparate per organizzare operazioni di sabotaggio che disturbassero l’attività quotidiana svolta dalle forze nemiche, come tagli ai cavi del telefono ed elettrici, manomissione delle ferrovie e degli automezzi, spargimento di chiodi sulle strade di transito, ma anche improvvisi bliz di propaganda antifascista.

I GAP invece erano dei reparti di assalto militari, addestrati alla guerriglia urbana, che operavano sotto una stretta riservatezza e disciplina militare. Erano costituiti da tre o quattro elementi al massimo, armati in genere di pistola e qualche bombe a mano, ed effettuavano pericolose incursioni armate, spesso in pieno giorno e in luoghi affollati, volte a colpire i nazi fascisti seguendo la strategia del “mordi e fuggi”. Essi erano anche addestrati nell’utilizzo di esplosivi, potendo mettere a segno attentati dinamitardi contro obiettivi militari specifici.

Le gesta delle SAP e dei GAP venivano automaticamente rivendicate dal CLN a fini propagandisti, per comunicare agli italiani che il nemico non era così invincibile come si pensava e che la vittoria era possibile[3].

Il livello dello scontro si acutizzò quando, anche ad Empoli, arrivarono le direttive del maresciallo nazista Kesselring, il quale ordinava ai suoi soldati di “ costituire una percentuale di ostaggi in quelle località dove risultino essere bande armate e passare per le armi detti ostaggi tutte le volte che nelle stesse località si verifichino atti di sabotaggio”, aggiungendo inoltre di “compiere atti di rappresaglia  fino a bruciare le abitazioni nelle zone dove siano stati sparati colpi d’arma da fuoco contro reparti o singoli militari germanici. Impiccare nelle pubbliche piazze quegli elementi responsabili di quegli omicidi e capi di bande armate”[4].

Si intensificò anche la caccia al renitente, che raggiunse il suo picco con il Bando Graziani: esso prevedeva la fucilazione per tutti i giovani che non si fossero presentati all’arruolamento forzato entro tre giorni dalla chiamata.

Il primo dicembre 1943 alcuni gappisti fiorentini giustiziarono il tenente colonnello Gino Gobbi, responsabile dell’ufficio leva del distretto militare ed uno dei più attivi collaboratori degli occupanti nazista. Per pronta risposta i fascisti prelevarono, all’alba del giorno dopo, cinque antifascisti reduci dalla Guerra di Spagna, che vennero fucilati al poligono delle Cascine di Firenze. Tra questi c’era anche l’anarchico empolese Oreste Ristori, arrestato il 26 luglio durante i festeggiamenti per la caduta del regime.

Per il 10 dicembre fu fissata la data dove i giovani empolesi,delle classi 1923, 1924 e 1925 si sarebbero dovuti presentare al Comando Militare di Empoli, nel tentativo da parte di Mussolini di creare un nuovo esercito fascista. Anche questa volta, la chiamata alle armi fu  pressoché ignorata dalla maggior parte dei giovani che non si presentarono al raduno, preferendo darsi alla macchia.

Seguì la reazione dei fascisti che presero l’abitudine di effettuare retate nei locali pubblici, bar, cinema e strade arrestando tutti coloro che non potevano giustificare il proprio esonero militare, e alle volte incarcerando pure i padri dei renitenti alla leva[5].

Intanto gli alleati stavano risalendo lungo la penisola, a suon di continui bombardamenti che gli aerei americani effettuavano sulle principali città occupate. Le incursioni aeree americane causarono in Italia, secondo l’Istat, 64.354 vittime, di cui oltre 50.000 civili. La città di Empoli ebbe l’occasione di conoscere gli effetti dei bombardamenti alleati domenica 26 Dicembre 1943, giorno di Santo Stefano, mentre la maggior parte delle famiglie si ritrovavano in casa radunate intorno al tavolo del pranzo. Trentasei B-26 Marauder, bimotori da combattimento, solcarono i cieli di Empoli e sganciarono sulla città 210 bombe da 225 chili l’una, con obiettivo principale la distruzione della stazione ferroviaria. Il bombardamento però si estese anche su tutte le zone adiacenti, comportando la completa distruzione della frazione delle Cascine e il grave danneggiamento di Ponzano, Pontorme, Puntone e della Manifattura Vetraria, a seguito del quale morirono 128 persone[6].

Gli obiettivi strategici ne uscirono quasi illesi ed a farne le spese fu soprattutto la popolazione civile empolese:

 

In alto sopra di noi il cielo rintronò con un boato orribile. Morte e paura ci franarono addosso in un fracasso d’inferno. Fiamme, sibili di acciaio e nubi nere come la notte ci avvolsero da ogni parte. Quando rialzammo la testa e ci contammo, diventammo muti. Tanti erano gli scomparsi e troppi….troppi i corpi maciullati di donne, di vecchi e di bambini[7]

 

 

In seguito si riscontreranno altri bombardamenti sulla città, il 18 e il 22 gennaio, e un ultimo il 7 marzo, a causa dei quali perirono altre 27 persone, più il ferimento di altrettanti empolesi.

Dal 27 dicembre al 31 gennaio 1944 il CLN empolese decise perciò di attuare una prima evacuazione di parte degli empolesi che sfollarono nella vallata dell’Ormicello.

Nel frattempo il comitato militare del CLN di Empoli decise invece di estendere la lotta armata, oltre le azione delle SAP e dei GAP, organizzando vere e proprie formazioni partigiane che operassero nei boschi adiacenti alla città. La conformazione fisica del territorio empolese non era adatta alla lotta partigiana per l’assenza di rilievi montuosi  ma, in ogni modo, si decise di organizzare i giovani “imboscati” empolesi e signesi nascosti tra i boschi di Pietramarina.

La prima formazione nacque nei primi giorni del 1944 e fu intitolata a Rigoletto Martini, martire comunista empolese, mentre la seconda nacque poco dopo e venne dedicata ad Antonio Gramsci. Le due formazioni risultarono molto attive, svolgendo alcune azioni di danneggiamento e di ostacolo alle strutture delle SS e dei fascisti repubblicani, le cui gesta, spesso ingigantite, venivano riportate tra la popolazione empolese, mai sazia di notizie sui propri giovani valorosi. In città venne organizzato anche un sistema di rifornimento di viveri, medicinali, abiti, tabacco, al cui trasporto contribuirono i giovanissimi e le donne, nelle vesti di staffette partigiane[8].

L’attività partigiana a Pietramarina ebbe però vita breve visto che, appena un mese dopo, si assistette ad un improvviso rastrellamento operato dai tedeschi nella zona dove si stavano rifugiando i partigiani. La “Rigoletto Martini” fu costretta a sciogliersi immediatamente mentre la “Gramsci”, riuscì ad evitare l’accerchiamento e a riparare il 20 marzo dopo una lunga marcia, nei boschi di San Gimignano. Giunti a destinazione furono costretti ad ingaggiare un duro combattimento, in soli 45 uomini contro 400 fascisti repubblicani appartenenti alla banda Carità, che li sovrastarono per numero costringendoli  a sganciarsi e a  sciogliere la formazione[9]. Parte di questi valorosi patrioti empolesi andranno a confluire nella III compagnia “Guido Boscaglia”, combattendo nella zona di Volterra, mentre un’altra parte si sposterà verso Siena, confluendo nella “Spartaco Lavagnini”[10].

Sempre a riguardo dei renitenti alla leva, possiamo affermare inoltre che una parte dei giovani che si “diedero alla macchia” venne aiutata dalle famiglie dei mezzadri che abitavano nelle campagne intorno ad Empoli. Assieme ai prigionieri di guerra evasi ed ad altri avversari del regime, essi vennero protetti e nascosti dai contadini nelle loro case, andando contro al Bando Graziani e rischiando anch’essi di subire le vendette dei nazi fascisti.

A partire dal 1943 assistiamo quindi ad repentina politicizzazione della classe mezzadrile, che si ribellò allo sfruttamento padronale e contro l’occupante tedesco. I contadini riuscirono a darsi un’organizzazione politica, praticamente inesistente fino ad allora, fondando i Comitati di difesa dei contadini, guidati dal mezzadro comunista Pietro Ristori, che avviarono una lotta di rivendicazione economica contro gli ammassi forzosi di grano imposti dal regime, previsti per 15 chili pro-capite.

Proprio verso questa direzione andarono le due manifestazioni, organizzate dal Comitato per il 18 e il 25 Febbraio, durante le quali i contadini, radunati in un grande corteo, si diressero verso il Municipio, presidiato da Carabinieri e polizia, pretendendo un incontro con il podestà per ridiscutere la questione degli ammassi. Durante la manifestazione del 18 il corteo contadino arrivò addirittura a sfondare la porta degli uffici per gli accertamenti agricoli ai quali era delegata l’applicazione dei decreti sugli ammassi, facendo irruzione nei suoi locali[11].

Questa esperienza rappresentò un banco di prova per i contadini, per essere organizzati al punto da unirsi agli operai nel grande sciopero generale, indetto per il 3 marzo dal CLN dell’Alta Italia, contro l’occupante tedesco, per la rivendicazione di aumenti salariali e delle razioni alimentari. Con il fronte di guerra che ancora stanziava sulla linea Minturno – Cassino – Ortona, il Partito comunista d’Italia credeva fermamente che lo sciopero generale potesse effettuare una spinta propulsiva verso l’insurrezione nazionale che facesse cadere gli occupanti. Il CLN empolese organizzò l’insubordinazione per il 4 marzo, rimandando di 24 ore lo sciopero, coordinando la protesta con l’ausilio dei lavoratori dei paesi limitrofi di Fucecchio, S. Croce sull’Arno, Montelupo, Limite sull’Arno e Cerreto Guidi.

A diretta responsabilità dello sciopero c’era la componente comunista, capitanata da Leo Negro, Pietro Ristori e Catone Ragionieri, ed ebbe inizio dalle prime ore dell’alba sotto la protezione di squadre armate di GAP e SAP, concentrate in punti strategici a vigilare sulla buona riuscita dell’iniziativa. A partire dalle otto di mattina, un centinaio di donne partirono in corteo dalla frazione di Avane, attraversando Magolo e Santa Maria, verso la direzione del Municipio di Empoli, per chiedere a grande voce il ripristino del lavoro delle confezioni e l’aumento delle razioni dei grassi.

Ad esse si unirono i lavoratori di impianti produttivi, come i vetrai della Taddei e della Cristalleria Empolese o le addette alla cernita del tabacco della fattoria Boncompagni, che si rifiutarono di lavorare e portarono le loro richieste di aumento salariale.

Cinquemila- seimila persone marciarono quella mattina, alle grida di “ Pace e Pane” e “ Fuori lo straniero” mentre le autorità fasciste non si azzardarono ad intervenire sul momento.

Direttamente dalla Germania, Hitler aveva però ordinato di vendicare gli eventuali tumulti, impartendo pene esemplari, come la deportazione di almeno il 20 % del personale di ogni sito produttivo scioperante[12]. Una volta calmate le acque, i nazi-fascisti adempirono agli ordini del Fuhrer e, con le liste degli scioperanti alla mano, avviarono i rastrellamenti nella notte tra il 7 e l’8 marzo, spedendo 92 antifascisti del circondario, di cui 26 della sola vetreria Taddei, nel campo di concentramento di Mauthausen, dal quale solo in 6 riuscirono a fare ritorno dopo la fine della guerra.

Ad questa prima vendetta, doveva seguire un’altra deportazione, riguardante altri 56 mezzadri e 26 braccianti agricoli, nominati in una seconda lista. Grazie al pronto intervento di alcuni impiegati comunali antifascisti, il CLN di Empoli poté reperire i nominativi della lista e si impegnò fattivamente a nascondere e salvare i suddetti perseguitati politici.

Alle operazioni di rastrellamento tentò di reagire una delegazione di madri, sorelle, mogli e figlie che si recarono a pochi giorni dalla deportazione alla sede del fascio di Empoli, reclamando invano il ritorno a casa dei propri cari[13].

A partire dalla primavera del ’44 le azioni partigiane contro i nazifascisti si intensificarono, spinte dal senso di vendetta, ma anche dal desiderio del raggiungimento della pace, che si faceva sempre più vicina, mettendo in seria difficoltà l’occupazione nazista.

Il 6 marzo, nella località Fontana nel comune di Montelupo, vennero asportato 250 metri di filo di rame, per interrompere la linea telefonica in costruzione che doveva garantire la comunicazione tedesca tra Empoli e Firenze, mentre in quei mesi si assistette a continui e ripetuti tagli delle linee telefoniche che collegavano Empoli con Pontedera. Sotto pressione delle autorità tedesche, il segretario del PFR di Empoli Paolinelli  tentò invano di organizzare un servizio di vigilanza, fatto da tre squadre impiegate in turni di otto ore e pagate sessanta lire giornaliere, per evitare i ripetuti sabotaggi che comunque non si arrestarono[14].

Durante la prima metà di aprile, alla Stella di Vinci vennero rubate dagli antifascisti ben 256 paia di scarpe in un calzaturificio che vennero portate a rifornimento dei partigiani che combattevano nella zona.

Durante quella primavera anche la violenza armata crebbe d’intensità. Ad Empoli quattro gappisti riuscirono ad entrare in incognito nella locale Casa del fascio, lasciando all’interno una borsa piena di esplosivo. Lo scoppio non fece vittime ma ebbe un grande effetto psicologico sulla popolazione empolese e sui fascisti, consci di non trovarsi al sicuro neppure nella sede della propria organizzazione.

Il CLN empolese si prese l’impegno di fare una lista con i nomi dei fascisti collaborazionisti che negli ultimi mesi avevano affiancato i nazisti nella repressione di ogni forma di resistenza partorita nella zona. I nomi di Marmugi, Paolinelli, Secchioni, Orsetti, Giordano, Tondini vennero comunicati alle formazioni gappiste, le quali si organizzarono per compiere giustizia.

L’8 marzo quattro partigiani giustiziarono il gerarca repubblichino Marmugi, mentre con la sua macchina stava attraversando il bivio di Streda posto sulla strada provinciale Empoli- Vinci e Cerreto Guidi. Secondo le informazioni prevenute al CLN, in quella macchina dovevano viaggiare anche altri dirigenti del fascio repubblicano, come Paolinelli, Secchioni e Giordano, i quali cambiarono all’ultimo destinazione, sfuggendo così all’attentato partigiano.

Sempre nel corso della primavera, susseguirono altre importanti operazioni militari compiute dal CLN di Empoli.

Sulla strada di Brusciana venne attaccato ed incendiato un carro armato nazista dopo che un gappista era riuscito ad uccidere i membri. La frazione di Pontorme venne una notte occupata dalle formazioni partigiane, il tempo necessario per depredare tutte le armi in mano alla milizia repubblichina locale mentre, giorni dopo, i gappisti fecero irruzione nel commissariato di PS di Empoli requisendone tutto l’armamentario.

A Fucecchio la stessa irruzione fu effettuata nella caserma dei repubblichini di Ponte a Cappiano, mentre a Santa Croce sull’Arno questa sorte toccò alla caserma dei carabinieri.

In parallelo andarono a riformarsi le formazioni armate che operavano nei boschi e nelle campagne. A Botinaccio si organizzarono due squadre, una formata da residenti della frazione di Pontorme l’altra formata da ex ufficiali e sottoufficiali empolesi dell’esercito che si misero in contatto col CLN empolese. Altri due piccoli raggruppamenti ripresero invece ad agire nei boschi di Pietramarina, una volgendo al versante di Vinci l’altra verso Spicchio, Limite e Capraia. Sebbene i loro numeri e i loro armamenti fossero minimi non mancarono le operazioni di disturbo[15].

Il CLN di Limite si distinse in altre importanti operazioni partigiane. Ci fu l’assalto di una postazione antiaerea gestita dalla locale Guardia nazionale repubblicana a Colle, ove parteciparono all’azione Antonio Bini, Raffaello Carboncini, Leo Larini, Leopoldo Mancini, Remo Caparrini, Libertario Guerrini e Mario Sostegni.

I repubblichini, presi di sorpresa, si arresero immediatamente ai partigiani i quali li disarmarono e li minacciarono di punirli nuovamente se avessero insistito nel combattere per la Repubblica di Salò.

Sempre a Limite venne ucciso un membro della Guardia nazionale repubblicana responsabile della cattura dei renitenti alla leva mentre, nella prima metà di giugno, le formazioni partigiane limitesi diedero un grande contributo al battaglione garibaldino “Magnino Magni”, proveniente dai monti di Pescia, nel trasferimento che li avrebbe portati a raggiungere la 23° Brigata Garibaldi. I limitesi gli fornirono scorta e protezione, permettendoli di sostare per due giorni nella località di Petroio[16].

Con la notizie riguardanti lo sbarco alleato in Normandia e la ritirata nazista dal fronte russo sotto la controffensiva sovietica, i rapporti di forza iniziavano a volgere dalla parte degli antifascisti del CLN.

L’avanzata lenta ed inesorabile del fronte alleato venne diffusa da alcuni radioamatori antifascisti, i quali crearono la rudimentale “Radio sfollato”, per informare gli empolesi sull’andamento dei fatti della guerra.

Il CLN locale ordinò nel frattempo di concentrare progressivamente tutte le forze partigiane operanti tra Empoli, Montelupo e Limite, nelle campagne tra i torrenti Orme e Ormicello, per prepararsi ad un’eventuale liberazione nella città[17].

Durante i primi giorni del maggio ’44, le autorità tedesche ordinarono l’ evacuazione della popolazione empolese, la quale si rifugiò a nord della città, ospitata in casali e fattorie. Ciò non impedì alle truppe naziste di perpetuare ulteriori crimini feroci, facendo “terra bruciata” e  intensificando i rastrellamenti di uomini adulti e le esecuzioni.

Basti pensare che tra il 10 giugno e il 20 settembre del 1944 in Toscana vengono uccise l’85% delle oltre 3700 vittime delle SS naziste[18].

Il 23 luglio giunse ad Empoli la notizia di una tremenda esplosione avvenuta a San Miniato. Nelle ore precedenti, un migliaio di cittadini sfollati erano stati condotti a forza, nel Duomo, dalle SS naziste, per metterli sotto la “protezione” del vescovo Ugo Giubbi, esplicito sostenitore della Repubblica Sociale italiana. Essi furono chiusi dentro a chiave ed ammassati per ore nella chiesa, senza dar loro nemmeno la possibilità di uscire per i bisogni fisiologici.

Alle dieci di mattina ci fu un’ improvvisa esplosione che investì la cattedrale, causando la morte di 55 sfollati e il ferimento di altre centinaia di samminiatesi, dovuta ad una granata americana che sbagliò la traiettoria durante un bombardamento americano.

Sempre il 23 Luglio ad Empoli, località Pratovecchio, si assistette ad una sparatoria tra i tedeschi ed un gruppo di partigiani, intenti a recuperare alcune armi, a seguito di cui morirono sei soldati nazisti. Per diretta risposta, il giorno dopo le SS prelevarono dalla zona Terrafino- Brotalupi 30 cittadini e li condussero in città, radunandoli in Piazza Ferrucci (oggi Piazza 24 Luglio) per fucilarli. Ne morirono 29, in quanto uno di essi, Arturo Passerotti, approfittò della disattenzione delle truppe naziste, dovuta ad un allarme antiaereo, buttandosi in una disperata fuga nelle vie laterali che gli concesse di conquistare la libertà e la vita salva. Ai familiari delle vittime fu loro impedito di andare a recuperare i corpi dei loro cari, dovendoli lasciare per molti giorni in decomposizione sul luogo della strage, sotto il sole di quel tragico luglio del ‘44.

Anche il circondario empolese pianse altri morti per mano nazista. Il 27 luglio a Vinci assistiamo all’uccisione per mano nazista di 4 giovani sfollati, mentre il 23 agosto a Fucecchio avvenne un altro spietato sterminio che coinvolse 174 civili, in gran parte vecchi donne e bambini[19].

Nel frattempo le forze alleate, costituite prevalentemente da americani e affiancati da un corpo di francesi, riuscirono a liberare Siena il 3 luglio e si indirizzano verso la Valdelsa, liberando Montaione il 17, il 18 Gambassi e il 19 Certaldo. Arrivati alle porte di Empoli, l’avanzata si arrestò per 5 lunghe settimane, con i tedeschi che si schierano lungo l’Arno, e gli americani che ordineranno al CLN empolese di non intervenire, rinviando  ulteriormente la liberazione della città.

I membri del CLN non stettero fermi e il 27 luglio uscirono dalla clandestinità, riconquistando la frazione di Monterappoli e autoproclamandosi l’unica forza politica legittima in rappresentanza del popolo empolese. Antonio Negro venne designato come sindaco, mentre Aureliano Santini venne nominato capo del nuovo commissariato di Pubblica Sicurezza, mutando le formazioni partigiani in reparti di PS[20].

Dopo il suo insediamento, il sindaco Negro riunì i rappresentanti di tutti i sotto comitati clandestini del CLN che operavano a Fontanella, Molin nuovo, Brusciana, Ponte a Elsa, Terrafino, Corniola, Cerbaiola, Ponzano, Pozzale, Casenuove e Villanuova, cercando di tracciare un quadro della situazione generale politica, sanitaria e alimentare, che risultava grave.

Il 2 settembre 1944 gli americani si decisero a liberare completamente Empoli, assieme alle forze di polizia partigiana,e trovarono una città completamente devastata. In quelle cinque settimane di sospensione dei combattimenti la città venne lasciata in preda della furia dei nazisti, oltre il 60% degli edifici e l’80% degli impianti industriali risultavano distrutti o seriamente danneggiati dalle mine tedesche o dai cannoneggiamenti scambiati tra gli schieramenti.

Il CLN, a capo del nuovo comune provvisorio, si mise dunque immediatamente al lavoro, organizzando un piano di emergenza che potesse sostenere la grave situazione urbana, prevedendo:

 

  1. Organizzare un ulteriore sfollamento a sud delle colline empolesi del maggior numero possibile di famiglie per evitare le cannonate provenienti dal fronte stabilizzatosi sull’Arno, e così diminuire le necessità alimentari.
  2. Organizzare definitivamente il comune a Monterappoli precisando i compiti, creando gli uffici, reclutando il personale.
  3. Appello ai contadini e ai proprietari per preservare e aumentare il patrimonio agricolo e zootecnico falcidiato, per trebbiare il grano ancora per buona parte rimasto nei campi – anche minati – e far funzionare i mulini della zona libera.
  4. Reperire tutte le materie prime lavorate esistenti.
  5. Richiedere contributi in denaro ai più abbienti e preparare il lancio di un Fondo della ricostruzione.
  6. Reperire dei mezzi di trasporto di qualsiasi genere.
  7. Organizzazione di una polizia partigiana e istituzione di posti di blocco.
  8. Segnalazione e controllo dei responsabili fascisti.
  9. Acquisto diretto di generi alimentari
  10. Ricerca dei sanitari e del personale per gli ospedali, reclutamento di nuovi medici e nuove iniziative per reperire forniture e alimenti, finanziamento da parte del CLN[21].

 

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[1]G. Fulvetti,  Verso la democrazia, 1940-1945, in P. Pezzino (a cura di), La tradizione antifascista a Empoli 1919-1948, Ospedaletto (PI), Pacini editore, 2007, p 219.

[2]A. Santini, Quaderni, Dattiloscritto inedito conservato all’Archivio Storico del Comune di Empoli., p. 41.

[3]G. Pesce, Senza Tregua – La guerra dei GAP, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1967, p. 7-10.

[4]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), Roma, Editori Riuniti, 1970, p. 380, p. 461.

[5]G. Fulvetti,  Verso la democrazia, 1940-1945, in P. Pezzino ( a cura di ),  Empoli Antifascista – I fatti del 1° Marzo 1921, la clandestinità e la resistenza, cit., p 220-222.

[6]C. Biscarini e G. Lastraioli (a cura di), Anatomia di un bombardamento, Vinci ( FI), Associazione Turistica Pro Empoli, 1988, p. 7-42.

[7]Comune di Empoli (a cura di), Empoli, 26 dicembre 1943. Una carneficina di donne, vecchi e bambini, Empoli (FI), C.E.T – Cooperativa Editografica Toscana, 1974, p. 1.

[8]L. Negro, Limite visto da un limitese, C.E.T Cooperativa Editografica Toscana, 1980., p. 145., p. 164-165.

[9]M, Garzella, La fondazione del comune democratico, in P. Pezzino (a cura di), La tradizione antifascista a Empoli 1919-1948, cit., p. 133-134.

[10]G. Fulvetti,  Verso la democrazia, 1940-1945, in P. Pezzino ( a cura di ),  Empoli Antifascista – I fatti del 1° Marzo 1921, la clandestinità e la resistenza, cit., p 236.

[11]P. Ristori, Contadini dell’Empolese nell’antifascismo e nella Resistenza, in S. Gensini (a cura di), Antifascismo e Resistenza in Valdelsa, Firenze, Società Storica della Valdelsa – Castelfiorentino, 1971., p. 92-94.

[12]M, Garzella, La fondazione del comune democratico, in P. Pezzino (a cura di), La tradizione antifascista a Empoli 1919-1948, cit., p. 132.

[13]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit., p. 471-475.

[14]G. Fulvetti,  Verso la democrazia, 1940-1945, in P. Pezzino ( a cura di ),  Empoli Antifascista – I fatti del 1° Marzo 1921, la clandestinità e la resistenza, cit., p 234.

[15]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit., p. 475-482.

[16]L. Negro, Limite visto da un limitese, cit., p. 170-171.

[17]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit., p. 486-487.

[18]G. Fulvetti,  Verso la democrazia, 1940-1945, in P. Pezzino ( a cura di ),  Empoli Antifascista – I fatti del 1° Marzo 1921, la clandestinità e la resistenza, cit., p 235-237.

[19]S. Terreni (a cura di), Era la Resistenza, Il contributo di Empoli alla lotta contro il fascismo e per la liberazione, cit., p. 21.

[20]A. Santini, Quaderni, Firenze, G. Pagnini editore, 1995., p. 41-42.

[21]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit., p. 498-499.