10 – Empoli contro la guerra

<<– Torna all’indice

<- Torna a 9 – La passione per la Spagna

Il 1° settembre 1939 la Germania nazista invase la Polonia dando avvio alla Seconda Guerra Mondiale. Il nazi-fascismo mise così in atto le sue intenzioni imperialiste, tanto  invocate negli anni precedenti,  apprestandosi ad aggredire le democrazie europee e l’Unione Sovietica di Stalin

Mussolini impose al suo popolo di schierarsi a supporto bellico degli alleati nazisti, credendo in una risoluzione rapida del conflitto e ambendo di ricevere la sua parte del bottino finale.

A partire dalla fine del ’38 iniziò quindi a richiamare progressivamente i militari già congedati per poi impegnarli nel futuro conflitto e ciò valse anche per molti giovani empolesi. Come nel caso della Prima Guerra Mondiale, i richiami forzosi non furono molto ascoltati dai ragazzi empolesi, i quali fecero valere il proprio DNA antimilitarista, trovando metodi per non risultare idonei durante la visita militare. Essi facevano appello a strane patologie psicofisiche, i cui presunti sintomi si riscontravano solamente nelle visite effettuate, guarda caso, nel circondario empolese, tanto da far sì che i medici militari iniziarono pure a chiamarla “sindrome empolese”[1].

Il 10 giugno 1940 l’Italia fascista dichiara guerra all’Inghilterra e alla Francia, già invasa dai tedeschi. Ad Empoli solo le camicie nere ed i fedelissimi del regime esultarono  dell’entrata in guerra, mentre il resto della popolazione empolese non si unì ai festeggiamenti, dando l’ennesima prova di un comune spirito antimilitarista. I fascisti furono costretti ad obbligare con la forza i passanti ad entrare nei loro locali per ascoltare il radiomessaggio che comunicava la dichiarazione di guerra, per poi costringerli a scendere con loro in strada per inscenare un finto corteo esultante[2].

L’economia di guerra poteva portare agli industriali italiani ottimi profitti, quindi anche ad Empoli le vetrerie, le concerie, le confezioni si apprestarono a ridimensionare la loro produzione in chiave bellica. Nacque inoltre una grande fabbrica di materie plastiche volta a  fornire materiali da impiegare in combattimento, come le maschere antigas[3].

Tutto questa produzione non comportò un aumento del benessere per le classi lavoratrici, le quali pagarono di tasca propria le incompetenze con cui l’esercito italiano stava affrontando il conflitto mondiale.

Il costo della vita andava aumentando mentre i salari non riuscivano ad adeguarsi a questa crescita. Un chilogrammo di carne poteva costare tra le 7 e le 11 lire, i fagioli costavano 2 lire al chilo, l’olio 9 lire al chilo, mentre i salari medi variavano tra un minimo di 18 lire al giorno ad un massimo di 26 lire[4].

L’austerità di guerra si rifletteva nella vita di tutti i giorni dei lavoratori italiani, i quali assistevano impotenti alla partenza dei propri figli verso il fronte, mentre le promesse di Mussolini e le speranze riposte in un conflitto insensato, persero giorno dopo giorno la  loro fondatezza, permettendo così al popolo italiano di venire a conoscenza del vero volto della guerra.

Su questo malessere il Partito comunista empolese, falciato dalle defezioni subite a seguito degli arresti politici e dei richiami militari, seppe rilanciare la propria attività.

Tra il giugno del ’40 e  la fine del’ 42, anno in cui fu concessa l’amnistia per il ventennale della marcia su Roma, molti antifascisti empolesi poterono fare ritorno a casa dalle carceri del regime. Riabbracciarono così i propri familiari Pietro Ristori, Catone Ragionieri, Remo Scappini e Ginetto Cantini, vecchi dirigenti comunisti empolesi dalle spiccate doti organizzatrici[5]. Appena giunti a casa, ripresero i contatti con vecchi e nuovi compagni, perché era giunto il momento di far ripartire l’organizzazione e rilanciare una nuova stagione di lotta.

Per prima cosa vennero ristabiliti i contatti con il Centro interno ed estero, grazie soprattutto al prezioso contributo del comunista certaldese Guglielmo Nencini e della moglie di Rigoletto Martini, Giuliette Bacon, che si prestarono per riallacciare i rapporti. Durante i primi mesi del 1942 giunse, ad Empoli, il funzionario Massola che si incontrò con Pietro Ristori e Catone Ragionieri, per discutere sul rilancio del partito, attraverso forme organizzative più solide, e della necessità di riallacciare i contatti con le altre realtà comuniste clandestine della Toscana.

Nel corso del 1942, i proprietari della Tipografia “Orfanotrofio maschile”, Lionello Cecchi e Baldino Baldini, entrambi antifascisti convinti, si misero al servizio del partito, stampando materiale propagandistico, giornali come “ Grido di Spartaco” “ l’Unità” e “il Ferroviere”, e migliaia di manifesti e volantini, che i corrieri clandestini distribuirono in gran parte della Toscana.

Durante questi mesi riscontriamo anche la ricomparsa di altre realtà antifasciste, slegate dal Partito comunista, che si riaffacciarono nuovamente sulla scena empolese per contribuire alla lotta contro la guerra ed il fascismo.

Tra questi ricordiamo il centro antifascista, organizzato da alcuni giovani dell’azione cattolica, che si riuniva alla Misericordia intorno alla figura del cappuccino Padre Giovanni da Volterra. In un cenacolo di musicisti e intellettuali le idee antifasciste emersero, dalle cui discussioni si formarono politicamente i futuri dirigenti del Partito d’Azione empolese, mentre ritornarono alla militanza politica pure i socialisti, impegnati nel rimettere in piedi la loro organizzazione, da troppo tempo inattiva e dismessa[6].

Ogni bottega, ogni locale gestito dagli antifascisti diventava automaticamente un centro dove si divulgava l’avversione verso il regime e dove si  poteva maledire la guerra e le sue carneficine.

Questa rivalsa dello spirito antifascista empolese non passò inosservato ai rappresentanti locali del regime, i quali cercarono di arginare l’estensione del malcontento ricorrendo, come sempre, alla violenza. In linea con il motto mussoliniano “ tacere ed ubbidire” i vertici del Partito fascista esortavano i “buoni cittadini empolesi” ad intervenire d’innanzi a coloro che dubitavano della partecipazione alla guerra “con una buona parola, con un avvertimento deciso, con un ceffone. Secondo i casi”[7].

La gente però non veniva intimorita, ed iniziò ad oltraggiare pubblicamente i fascisti per esempio non alzandosi in piedi, nei locali pubblici, durante l’ascolto dei bollettini militari riportati dal radio giornale, pur conoscendo il rischio a cui andavano incontro[8].

La propaganda di regime ormai non riusciva più a diffondere fiducia e speranza. Ciò veniva notato soprattutto nei giovani, dei quali risposero solamente in pochi agli appelli di arruolamento nelle fila dell’esercito italiano effettuati tra il ’42 e il ’43, mentre le adunate fasciste, concepite per forgiare lo spirito nazionalistico dei prossimi richiamati, venivano sistematicamente disertate.

L’ultimo fallimento del fascismo ottenuto ad Empoli fu quando, nel marzo del 1943, il fascio locale organizzò una parata, volta a risaltare la presunta gloria del regime, alla quale parteciparono solo poche decine di fedelissimi[9].

La caduta di Mussolini era infatti alle porte e fu così che, la sera del 25 Luglio, il Gran Consiglio del fascismo sfiduciò il proprio Duce, revocandogli la guida del governo e la sua leadership politica.

Il mattino seguente Empoli venne occupata militarmente e per le vie della città vennero affissi alcuni manifesti tricolori che riportarono i contenuti del proclama di Badoglio. La notizia si sparse nel corso di poche ore, tantissimi lavoratori empolesi  abbandonarono i banchi da lavoro per confluire nel centro della città, dando vita ad un corteo spontaneo esultante, alle grida di “Abbasso il fascismo, Viva la Pace”.

La manifestazione si concluse con un grande comizio tenuto da Rineo Cirri e dall’anarchico Oreste Ristori, reduce della guerra di Spagna. Ristori venne in seguito arrestato “per aver istigato alla disobbedienza del bando emesso dal comandato del corpo d’armata per la tutela dell’ordine pubblico”, ma sostanzialmente la motivazione principale era dovuta al fatto che l’anarchico si era appellato al commissario Tondini, chiamandolo “gelataio”, vista la sua abitudine di vestirsi sempre di bianco[10].

Nonostante questo spiacevole episodio, le agitazioni celebranti la caduta del regime avvennero senza che i fascisti uscissero in strada a sedare la rivolta, barricati dietro le finestre delle Case del fascio o nelle proprie abitazioni.

A Limite, la stessa manifestazione di gioia avvenne solo il 28 Luglio, con la variante che decine di limitesi fecero irruzione nella Casa del fascio locale, distruggendo emblemi, bandiere, documenti, quadri e facendone un falò. Il giorno seguente, l’assalto si replicò anche alla Casa del fascio di Capraia, paese dove i fascisti avevano molto seguito[11].

Il 28 agosto il prefetto di Firenze inviò una comunicazione rivolta ai podestà ed ai commissari prefettizi invitandoli a “ rivedere tutte le cariche politiche e amministrative locali per adeguarle alla nuova situazione” aggiungendo come “ la scelta delle nuove nomine dovrà cadere su elementi dotati del più alto prestigio, di assoluta probità, di certa competenza e che siano rimasti estranei ad attività politiche”.

Questa destabilizzazione istituzionale fu vista dal Partito comunista empolese come un’occasione per far riemergere la propria presenza sulla scena politica. I comunisti si fecero quindi promotori della costituzione del Comitato interpartiti, formato da tutte le realtà antifasciste, che puntasse alla armistizio e all’affermazione delle libertà democratiche.

A seguito della svolta del 25 Luglio, altri antifascisti poterono uscire di prigione, tra i quali Rutilio Reali, Mario Fabiani, Cino Cioni, Aldo Giuntoli, che si rimisero immediatamente al servizio del partito e del popolo italiano.

Durante i primi giorni del settembre 1943, il Comitato interpartitico di Empoli stava discutendo sull’eventualità di organizzare uno sciopero generale contro il governo Badoglio e contro la sua incapacità di porre fine alla guerra, quando l’8 settembre giunse invece la notizia dell’armistizio con le forze Alleate.

Lo sciopero fu comunque organizzato per il 9 settembre e da esso si generò un imponente corteo che confluì in Piazza dei sindacati (oggi Piazza Gramsci). Le autorità di sicurezza intimarono agli organizzatori di sciogliere la manifestazione, pena il ricorso al Tribunale militare. Gli empolesi, dal canto loro, intimarono alla autorità l’ immediato arresto dei fascisti locali, richiedendo la possibilità di poter imbracciare le armi, in previsione della reazione che i tedeschi occupanti avrebbero inflitto al popolo. La manifestazione poté terminare con un comizio politico, in cui parlarono Pietro Ristori e Antonio Negro, dove venne spiegato che la guerra comunque continuava, invitando tutti i presenti a dare il proprio contributo contro l’invasore nazista[12].

L’offensiva dei tedeschi infatti non si fece attendere, con le truppe naziste che occuparono la città il 13 settembre, costituendo un’ amministrazione militare, la Militarkommandanturen, che dirigesse il commissariato prefettizio e la caserma dei carabinieri.

Il fascismo poté quindi ripresentarsi in città, protetto dalle armi naziste, sotto le vesti di Partito repubblicano fascista, guidato dall’ex segretario del fascio Giovanni Paolinelli, il quale, negli ultimi mesi di tumulti istituzionali, era sparito da Empoli per nascondersi a Firenze[13].Paolinelli fornì, alle autorità tedesche i nominativi degli antifascisti più noti della città con l’intento di farli arrestare, ma questi ultimi ritornarono saggiamente in clandestinità fuggendo  alla cattura. Solo Gino Ragionieri, che si trovava in casa ammalato, non riuscì ad evitare la retata. Egli tentò una coraggiosa fuga, ma venne investito da una raffica di mitra, candendo nelle mani dei fascisti.

Il nuovo fascismo repubblicano chiese agli empolesi di unirsi nella fede patriottica per ricercare “la conciliazione degli animi e l’impegno a collaborare al grande compito”[14]. Questa volta l’appello fascista non riscosse seguito neanche tra le classi padronali, tanto che non si riscontrò nessuna adesione ufficiale al neonato partito repubblicano fascista da parte di nessun membro delle dieci famiglie più ricche empolesi.

Vai a 11 – Resistenza e Liberazione ->

[1]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), Roma, Editori Riuniti, 1970, p. 380.

[2]G. Fulvetti,  Verso la democrazia, 1940-1945, in P. Pezzino (a cura di), La tradizione antifascista a Empoli 1919-1948, Ospedaletto (PI), Pacini editore, 2007, p 204.

[3]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit., p. 408.

[4]L. Negro, Limite visto da un limitese, C.E.T Cooperativa Editografica Toscana, 1980., p. 145.

[5]G. Fulvetti,  Verso la democrazia, 1940-1945, in P. Pezzino ( a cura di ),  Empoli Antifascista – I fatti del 1° Marzo 1921, la clandestinità e la resistenza, cit., p 207-208.

[6]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit., p. 420-424.

[7]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit., p. 419.

[8]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit., p. 427.

[9]G. Fulvetti,  Verso la democrazia, 1940-1945, in P. Pezzino ( a cura di ),  Empoli Antifascista – I fatti del 1° Marzo 1921, la clandestinità e la resistenza, cit., p 210-211.

[10]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit., p. 428-430.

[11]L. Negro, Limite visto da un limitese, cit., p. 153.

[12]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit., p. 434.

[13]G. Fulvetti,  Verso la democrazia, 1940-1945, in P. Pezzino ( a cura di ),  Empoli Antifascista – I fatti del 1° Marzo 1921, la clandestinità e la resistenza, cit., p 218.

[14]La Nazione, 3 ottobre 1943.