4 – Empoli non si piega

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Nonostante la repressione che il fascismo aveva inflitto con violenza, tutte le minacce, le percosse, le torture e le condanne non riuscirono a sedare l’opposizione.

Alle elezioni politiche del 21 maggio ’21, i socialisti, insieme ai comunisti, ottennero la maggioranza assoluta dei consensi, conquistando un 57,7% dei voti, mentre il Blocco nazionale formato da liberali, monarchici e fascisti raggiunse un misero 28,4%[1].

A distanza di soli sei giorni al penitenziario delle Murate di Firenze trecento detenuti, di cui più di duecento empolesi, misero in atto uno sciopero della fame contro l’asservimento della magistratura nei confronti del potere fascista. Lo sciopero denunciava principalmente la tendenza a dilungare volutamente i tempi delle istruttorie, a differenza di quanto avveniva per i pochi processi che riguardavano fascisti, i quali venivano sempre archiviati. Il caso ebbe risonanza nazionale approdando pure nelle aule parlamentari, dal cui dibattito scaturirono una serie di pressioni che portarono alla scarcerazione di settantacinque imputati  riconosciuti innocenti .

La città e i dintorni vennero ancora colpite per mesi  da diverse azioni squadriste, a cui capo primeggerà la banda “Disperata” capitanata dal famigerato Amerigo Dumini, coautore dell’assassinio di Spartaco Lavagnini e in seguito del deputato socialista Giacomo Matteotti. La tattica utilizzata per queste spedizioni era quella di utilizzare squadracce provenienti da altre provincie rispetto alla luogo da colpire, proprio perché gli autori così non sarebbero stati riconoscibili, né rintracciabili[2].

La pretura e le forze dell’ordine continuarono ad essere complici di tutta questa illegalità. Nel luglio 1921, l’ispettore di Pubblica Sicurezza, chiamato a osservare i tumulti che stavano avvenendo nell’empolese, parla di necessaria e opportuna reazione fascista nei confronti dell’aggressione compiuta dalla città di Empoli mentre, durante la stessa estate, il sottoprefetto competente per la zona si espresse in senso di cooperazione e fratellanza verso i gli squadristi fascisti[3].

Tra il fascismo e il popolo di Empoli si frappose un profondo senso di ingiustizia e rabbia che non permise mai alle camicie nere di ottenere la stima e il rispetto dei ceti popolari. Le case del fascio rimanevano vuote mentre gli scritti al PNF restarono solo poche centinaia. Si calcola che al 28 ottobre del ‘22, gli iscritti al fascio di Empoli fossero solo 291 mentre al 31 dicembre del ‘24 arrivarono a raggiungere le 468 tessere, dati da dover confrontare a fronte di una popolazione empolese che, all’epoca, raggiungeva i 23.000 abitanti. Tra i tesserati del ’24 troviamo solamente 56 operai, 56 contadini, 29 braccianti, 41 artigiani ed i restanti appartenenti ai ceti professionali o padronali[4].

Durante il pomeriggio del 28 ottobre 1922, quando iniziò a circolare in città la notizia che i fascisti erano entrati a Roma, pochi uscirono per le strade ad esultare. La Marcia su Roma fu vissuta dagli empolesi con uno certo distacco, senza che la preoccupazione si diffondesse eccessivamente.

Rispetto al crescente trend nazionale, il PNF subì ad Empoli altre scottanti sconfitte durante le due successive tornate elettorali, comunque ben lontane dallo svolgersi in un clima democratico.

Le elezioni amministrative del 18 marzo 1923 videro la partecipazione della lista fascista che ospitava la candidatura di liberali, industriali, agrari e borghesi. In tutta la zona fu impedita la partecipazione dei socialisti e dei comunisti perché definiti sovversivi, dei repubblicani perché massoni e pure dei popolari. Le forze di opposizione antifascista  invitarono il proprio elettorato a boicottare le elezioni: comunisti e anarchici invitarono all’astensione mentre socialisti, repubblicani e popolari optarono per votare scheda bianca. Le elezioni si svolsero tra continue intimidazioni verso chi non si sarebbe recato alle urne per legittimare l’ascesa fascista, con le squadracce armate che sorvegliavano l’andamento delle operazioni di voto, a volte anche all’interno delle stesse cabine elettorali. L’esito era pressoché scontato e segnò l’elezione a sindaco del fascista Vitruvio Cinelli, ex nazionalista, ex anticlericale, che paradossalmente aveva pure partecipato all’insurrezione del 1° marzo del 1921 per poi passare tra le fila fasciste, diventandone il principale organizzatore.

Significativo fu il livello di astensione, che raggiunse il 22%, e il numero delle schede bianche, 1034 in totale, dati che indicavano l’identità social-comunista della città.

Nell’aprile del 1924 si tennero le elezioni politiche, le ultime aventi qualche carattere di pluralismo politico, sostenute con la famosa Legge “truffa” Acerbo, legge che prevedeva l’assegnazione del 65% dei seggi a chi avrebbe ottenuto la maggioranza relativa dei voti. Anche in questa occasione la città di Empoli espresse il proprio ripudio al fascismo con 1490 voti che andarono ai socialisti, comunisti, socialdemocratici e popolari, 615 voti ad altri liste non fasciste, e ben 1522 empolesi non si recarono a votare nonostante tutte le minacce che i fascisti avevano rivolto agli eventuali astensionisti. Il PNF ottenne solo il 49% dei consensi di fronte al 66,9 % ottenuto su scala nazionale, non riuscendo quindi neanche a raggiungere la maggioranza assoluta[5].

Il progetto reazionario portato avanti da Mussolini e dai suoi uomini toccò in quei giorni il suo apice con il rapimento e l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, la cui responsabilità venne assunta senza alibi dal futuro Duce d’Italia, di fronte all’impassibilità di casa Savoia.

Questi avvenimenti fecero sì che ad Empoli si arrivasse a manifestare pubblicamente il proprio disgusto verso ciò che stava succedendo a Roma: giovani spavaldi e donne impavide si alternavano nel lanciare provocazione ai fascisti residenti nelle frazioni che, intimoriti di un eventuale vendetta, sparirono dalla circolazione.  Nessuno in quei giorni girava per le strade in camicia nera, né portava il distintivo del fascio all’occhiello, mentre la gente comune ostentava volutamente la lettura in pubblico di giornali appartenenti al movimento operaio quali ”l’Unità”, “l’Avanti”, “l’Umanità Nova”, “Il Mondo”, “Il Popolo”, “Il Sindacato Rosso”[6]. Questo evidente affronto al potere fascista rappresentò un avvenimento di eccezionale rarità in un’Italia che stava perdendo ogni tipo di garanzia democratica.

I partiti antifascisti non si dimostrarono quindi vinti. Già all’indomani delle incarcerazioni a seguito dei fatti del 1° marzo 1921, la popolazione empolese si impegnò per tessere una ramificata rete di raccolta fondi da destinare alle spese processuali e al sostentamento delle famiglie bisognose dei detenuti politici. Per oltre tre anni e mezzo, decine di giovani, giovanissimi e donne andarono a chiedere denaro e aiuti nelle frazioni ottenendo la diffusa solidarietà dei cittadini. Diversi operai e contadini, appartenenti agli ambienti delle parrocchie e della Misericordia, non si rifiutarono di instaurare rapporti con gli antifascisti ed erano ben contenti di contribuire alle collette in favore delle “vittime del fascismo”[7].

Il Soccorso rosso era strutturato in comitati che avevano sede nei locali della Pubblica Assistenza, non ancora bersagliata dalle operazioni squadriste, e delle cooperative di consumo. Socialisti, comunisti e anarchici lavorarono per la prima volta veramente uniti, cooperando fianco a fianco in ogni operazione della raccolta. Le riunioni avvenivano in segreto lontane dagli occhi indiscreti fascisti nelle rimesse o addirittura in alcune capanne di contadini o di compagni coinvolti nella rete di aiuti[8].

Tra i giovani coinvolti ricordiamo i nomi di Vasco Matteoli, Catone Ragionieri, Pietro Pacini, Augusto Lazzari, Pietro Ristori, Alfonso Ragionieri, Rigoletto Martini e Remo Scappini, i quali inoltre diedero vita al nuovo gruppo organizzativo del Partito comunista che del Soccorso Rosso rappresentò sempre il principale promotore[9].

Proprio il PCd’I fu il primo partito ad accorgersi della necessità di adottare nuove strategie di lotta che fossero lontane dagli schemi adoperati fino all’epoca. A partire dal 1924 l’alleanza tra Mussolini, casa Savoia, magistratura e forze dell’ordine rese necessaria l’adozione della clandestinità per ogni tipo di operazione di militanza politica.

Questo disagio non frenò l’impegno e la determinazione con cui decine di empolesi diedero battaglia al fascismo, bensì ne rafforzò lo spirito. Si racconta che 7 novembre 1924 alcuni comunisti, appena liberati dal carcere, si recarono al cimitero di Avane di fronte alla tomba del compagno Gazzarrini, morto in carcere dopo le barbare torture praticategli dai suoi aguzzini fascisti. In quell’occasione fu festeggiato l’anniversario della Rivoluzione bolscevica d’ottobre e fu da tutti promesso, alla memoria del defunto, di continuare la lotta contro il fascismo, per cui egli era morto[10].

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[1]M. Carrai, Ad Empoli da cent’anni – La Camera del Lavoro di Empoli, 1901-2001. Milano, Ediesse editore, 2002, p. 73.

[2]R. Cirri (a cura di), Antifascismo e antifascisti nell’empolese, Firenze, G. Pagnini editore, 1992, p. 11-13.

[3]G. Fulvetti,  L’antifascismo negli anni della clandestinità, 1921-1940, in P. Pezzino ( a cura di ),  Empoli Antifascista – I fatti del 1° Marzo 1921, la clandestinità e la resistenza, Ospedaletto (PI), Pacini editore, 2005, p 138-140.

[4]R. Scappini, in G. Gozzini (a cura di), I compagni di Firenze – Memorie di lotta antifascista 1922-1943, Firenze, Istituto Gramsci-CLUSF, 1979, p. 27.

[5]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), Roma, Editori Riuniti, 1970, p. 297-301.

[6]R. Scappini, in G. Gozzini (a cura di), I compagni di Firenze – Memorie di lotta antifascista 1922-1943, cit., p.

[7]R. Cirri (a cura di), Antifascismo e antifascisti nell’empolese, cit., p. 26.

[8]R. Scappini, in G. Gozzini (a cura di), I compagni di Firenze – Memorie di lotta antifascista 1922-1943, cit., p. 22.

[9]S. Terreni (a cura di), Era la Resistenza, Il contributo di Empoli alla lotta contro il fascismo e per la liberazione, Firenze, G. Pagnini editore, 1995, p. 17.

[10]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit. p. 321.