1 – L’avanzata del fascismo in Toscana e l’allerta antifascista

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A seguito dell’avanzata del fascismo che si stava diffondendo in tutta Italia, anche la “rossa” Toscana venne presto a conoscenza della natura reazionaria rappresentata da questo movimento.
Nell’edizione del 21 Novembre del 1920 del settimanale socialista “Vita nuova”, i fascisti vengono definiti come “ Le guardie regie in borghese al servizio del capitalismo” mentre nella pubblicazione del 28 novembre si sottolineava come il fascismo altro non fosse che “ L’ultimo mezzo che il capitalismo ha escogitato per tentare di fare argine sul socialismo che avanza ”.
Dopo le agitazioni e le rivendicazioni operaie che hanno segnato le cronache del Biennio rosso nell’immediato dopoguerra, la borghesia toscana era entrata in un forte clima di allerta. Come nel resto d’Italia, industriali e proprietari terrieri si resero conto di non essere più in grado di poter difendere da soli i propri interessi e i propri privilegi. Ci voleva una forza nuova e spietata che combattesse il socialismo attraverso metodi illegali e antidemocratici. Il fascismo riuscì a colmare questo vuoto rispondendo alla chiamata borghese in veste di supremo debellatore del “cancro socialista”. Si venne quindi a formare una grande alleanza che si estese pure verso gli ambienti della massoneria, dell’alto clero e anche della piccola borghesia commerciale[1].
Ben armati e finanziati dal denaro borghese, fanatici nazionalisti e avanzi di galera potevano agire nella più completa illegalità saccheggiando sedi socialiste e comuniste, incendiando le relative redazioni giornalistiche, assaltando le camere del lavoro e le case del popolo. Gli antifascisti venivano quotidianamente aggrediti, quasi sempre a tradimento e sovrastati per numero, pestati e umiliati per volontà del “santo manganello”, il tutto sotto la diffusa complicità di polizia e magistratura.
In Toscana le prime città che fecero la conoscenza del fanatismo fascista furono Firenze e Montespertoli, assieme a diverse località nel Mugello e nel Pratese.[2]Nel Valdarno inferiore Empoli veniva però considerata una roccaforte socialista inespugnabile, in quanto fino ad allora non si era insediato il fascismo. Ci potevano essere, come si verrà a sapere in seguito, alcuni aderenti che segretamente erano iscritti ai fasci centrali, ma nessuno di essi osava rivelare la propria identità né provare ad organizzarsi politicamente[3].
L’unico tentativo di incursione fascista fatto fino ad allora fu effettuato il 3 novembre 1919 quando alcuni squadristi fiorentini si ritrovarono al Teatro Salvini per rivolgersi a fini propagandistici all’associazione degli ex combattenti. Il tentativo fu prontamente vanificato dall’intervento di centinaia di militanti di sinistra che si radunarono intorno al teatro invocando ed ottenendo la chiusura di tale manifestazione[4]. A partire dal gennaio 1921 la violenza fascista si acutizzò colpendo quotidianamente dritta al cuore della rossa Toscana. Firenze assisterà all’uccisione per mano squadrista del dirigente dei ferrovieri Mugnai, freddato in piena Piazza Duomo, mentre il 27 febbraio verrà barbaramente ucciso Spartaco Lavagnini, segretario comunista del sindacato dei ferrovieri e direttore del settimanale “L’azione comunista”[5]. In Toscana, Lavagnini era considerato un dirigente politico e sindacale di spicco, molto conosciuto e stimato anche a Empoli. Proprio qualche giorno prima, il 20 febbraio, egli aveva partecipato alla prima manifestazione pubblica organizzata dal Partito comunista empolese, prendendo parte al comizio finale[6].
Il fermento e la frenesia insurrezionale andarono così a mischiarsi con il desiderio di vendetta. Da tempo le continue minacce provocatorie fasciste di “calare su Empoli” generavano insicurezza e preoccupazione nella popolazione empolese. Come viene ben narrato dal film “ Empoli 1921, film in rosso e nero” diretto nel 1995 dal regista Ennio Marzocchini, gli antifascisti empolesi iniziarono ad organizzarsi per un’eventuale assalto della città, ammettendo che “i fascisti potessero entrare in Empoli: ma la parola d’ordine tacita e decisa era che non dovevano uscirne. Empoli avrebbe dato un esempio e un monito”[7].
A seguito della morte di Lavagnini, fu indetto a Firenze lo sciopero di protesta dei ferrovieri, esteso poi a tutto il settore dei trasporti fino ad esplodere in uno sciopero generale che coinvolse gran parte della regione.
Empoli chiaramente diede il suo contributo e rispose alla chiamata dei compagni fiorentini.
La mattina del 28 si poté constatare la quasi totale paralisi di ogni attività, con la popolazione empolese che riempì strade e piazze, sfogando tutta la propria rabbia attraverso slogan come “Abbasso le guardie regie! Abbasso i fascisti! Abbasso il governo della borghesia!”. La Casa del Popolo era gremita di uomini di tutte le età che dibattevano sulle decisioni da prendere, proprio la stessa Casa del Popolo dove il 9 Febbraio Lavagnini aveva inaugurato la sede del neonato Partito comunista. Fu creato un comitato d’agitazione permanente che doveva coordinare le attività, formato dal segretario della Camera del Lavoro Riccardo Moriani, da Giovanni Morelli e Adolfo Sandonnini per le Guardie Rosse, lo stesso Sandonnini in rappresentanza dei comunisti, Fabio Antonini per gli anarchici, Stanislao Pelli per il sindacato dei ferrovieri e Dante Arrighi per il Partito socialista[8]. Si attendevano ordini dai dirigenti provinciali e una staffetta in motocicletta fece da spola per tutta la giornata tra Empoli e Firenze.
Sebbene l’agitazione denotasse caratteri di una vera e propria insurrezione popolare, durante quelle ore non si verificò nessun tipo di violenza. Nonostante la completa assenza delle forze dell’ordine, la calma e la lucidità furono garantiti dal prezioso contributo delle Guardie Rosse, del Sindaco, della giunta comunale e dei dirigenti comunisti e socialisti[9].
Proprio questa eterogeneità e unitarietà della protesta sono un chiaro esempio di come l’antifascismo riuscì ad Empoli a penetrare in tutti gli ambienti sociali, dai vari ceti popolari ai luoghi di lavoro, fino alle istituzioni.
Per poter spezzare ogni tipo di resistenza, i fascisti non avrebbero potuto affrontare gli empolesi “di punta” in quanto avrebbe voluto dire scontrarsi con un’intera città armata contro un nemico comune. Era necessario creare un pretesto per poter legittimare un intervento armato, architettato abilmente con la preziosa collaborazione di carabinieri e magistratura. Come potremo vedere, l’occasione non tarderà ad arrivare.

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[1]J. Busoni, Nel tempo del fascismo, Roma, Editori Riuniti, 1975, p. 62-63.

[2]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), Roma, Editori Riuniti, 1970, cit. p. 199.

[3]J. Busoni, Nel tempo del fascismo, cit., p. 68.

[4]M. Carrai,  Ad Empoli da cent’anni – La Camera del Lavoro di Empoli, 1901-2001, Milano, Ediesse editore, 2002, p. 68-69.

[5]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit. p. 202-204.

[6]P. Pezzino, I fatti del 1 marzo 1921, in P. Pezzino (a cura di),  Empoli Antifascista – I fatti del 1° Marzo 1921, la clandestinità e la resistenza, Ospedaletto (PI), Pacini editore, 2007, p 19.

[7]M. Carrai,  Ad Empoli da cent’anni – La Camera del Lavoro di Empoli, 1901-2001, cit., p. 69.

[8]P. Pezzino, I fatti del 1 marzo 1921, in P. Pezzino (a cura di),  Empoli Antifascista – I fatti del 1° Marzo 1921, la clandestinità e la resistenza, cit., p 99.

[9]V. Chiarini, Rina e Remo – Non solo i generali fanno la storia, Montelupo Fiorentino (FI), Edizioni Vicolo Stretto, 2005, p. 26.