9 – La passione per la Spagna

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Tra il 1935 e il 1938 il fascismo raggiunse, a livello nazionale, il suo più alto grado di consenso mediatico grazie alla campagna coloniale africana, avviata nell’ottobre 1935 con l’invasione dell’Etiopia.

Raggiunta la proclamazione del Impero italiano nel 1936, le promesse di gloria e prosperità portate avanti  dalla propaganda di regime riscontrarono fiducia e consenso in gran parte della popolazione. La radio, i giornali, i manifesti appesi ovunque e pure l’indottrinamento scolastico spiegarono agli italiani quanto la “conquista del posto al sole” rappresentasse un segnale di prosperità e lieto avvenire.

Come nel resto d’Italia, anche ad Empoli molti cittadini caddero in inganno dai “miraggi” che il regime diffondeva alla popolazione, facendo leva sulla disinformazione, sull’ignoranza e sulla miseria.

Il Partito comunista empolese, provato da tempo dalle continue ondate di arresti che smantellavano sistematicamente la propria organizzazione, tentò di avviare una campagna di contro-informazione a proposito delle reali intenzioni della spedizione coloniale.

I comunisti cercarono di spiegare agli empolesi quanto la nascita dell’Impero fosse funzionale solamente ai profitti dei grandi industriali, che sarebbero costati sacrifici e sangue ai figli del popolo.

Nel tentativo di modificare l’orientamento popolare, venne dibattuta all’interno del Partito l’opportunità di organizzare una manifestazione in solidarietà con il popolo etiope, però tale ipotesi fu rigettata in quanto avrebbe comportato un’esposizione tale da mettere in serio rischio e pericolo tutta l’attività del partito.

La delusione di molti comunisti empolesi fu grande quando assistettero al caloroso saluto che una parte dei propri concittadini diede ai militi conquistatori, che ritornavano dall’Etiopia, accolti con calore mentre sfilavano sotto un rudimentale arco di trionfo, eretto tra la stazione ferroviaria e l’imbocco con via Roma[1].

Le promesse e le belle parole propagandate dal regime dovettero però scontrarsi presto con l’impreparazione militare, tecnica ed organizzativa, dell’esercito italiano, incapace di dare concretezza alle brame di conquista e gloria tanto sognate dal regime.

Se la demagogia fascista era riuscita, nel caso abissino, a fare breccia su quegli strati della popolazione più arretrati, il successivo intervento armato, nell’autunno del ’36, al fianco delle truppe fasciste di Franco contro la Repubblica spagnola non trovò giustificazione, rappresentando solo un’aggressione inaccettabile.

Il Fronte popolare spagnolo, assieme al “Front popularie” francese, rappresentavano una un baluardo di resistenza per gli antifascisti europei che si allinearono in contrapposizione dell’avanzata reazionaria che il nazi-fascismo stava compiendo nel continente. Comunisti, socialisti, anarchici e indipendenti accorsero da tutto il mondo in Spagna, arruolandosi volontariamente nelle Brigate internazionali, con l’intenzione di combattere Franco e il fascismo al fianco dei “milicianos” spagnoli.

Dall’Italia arrivarono oltre 3500 volontari, pronti a rischiare la vita a difesa del proletariato internazionale, formando successivamente la formazione autonoma italiana “Brigata Garibaldi”, composta da ben quattro battaglioni[2].

Tra gli aderenti, ritroviamo una trentina di antifascisti provenienti proprio dall’Empolese Valdelsa, che combatterono eroicamente nelle battaglie di Jarama, Guadarrama, di Quinto e Beceite, di Huesca, andando a ricoprire ruoli importanti nei reparti antifascisti impiegati nella guerra civile. Possiamo ricordare Vasco Matteoli e Pietro Lari, conosciuti al fronte per il loro fervido valore, Aureliano Santini, che fu il comandante del secondo battaglione della Brigata Garibaldi, Ricciotti Sani, promosso capitano, Giuseppe Chiarugi, comandante di compagnia nella divisione “Carlo Marx”, il sindacalista comunista Orazio Marchi, commissario politico di battaglione, l’anarchico Oreste Ristori e l’ex segretario del Partito comunista empolese Abdon Maltagliati, che si recò in Spagna nel ’35, appena uscito dalle galere fasciste[3].

Tra questi valorosi antifascisti empolesi, Arturo Lelli e Giuseppe Chiarugi morirono in battaglia; quest’ultimo cadde durante la battaglia di Huesca mentre stava alla testa della propria compagnia durante un assalto, mentre Vasco Matteoli venne ferito gravemente.

L’eco delle loro gesta veniva trasmesso dalle radio estere e da quelle clandestine, come Radio Barcellona e Radio libera Spagna, gestite dagli antifascisti italiani rifugiati all’estero. Le notizie venivano captate anche dai cittadini empolesi, che ripresero a sperare nel riscatto del movimento operaio internazionale contro l’oppressore fascista.

Ci fu un momento di grandissimo orgoglio e commozione generale quando tutta Empoli poté riconoscere la voce di Giuseppe Chiarugi che parlava da radio libera spagna, rivolgendosi ai propri concittadini per comunicare quanto gli empolesi stessero ben meritando al fronte.

Le autorità politiche e di pubblica sicurezza  vennero presto a conoscenza di questa diffusione di notizie non conforme alla propaganda di regime, ricorrendo ai metodi violenti di sempre. Tra il ’35 e il ’37, molti locali pubblici e privati vennero presi di mira da improvvise spedizioni delle camicie nere: nel solo centro di Empoli possiamo elencare i bar Americano, del Giglio, Eli, Roma, Cecchi, Nicola, Giunti, di via Ridolfi, Peruzzi e Nacchi, i quali vennero spesso visitati e devastati dalle squadracce fasciste[4].

Emblematico l’episodio che vide protagonista l’impiegato comunale di Empoli Gastone Pacini, che ebbe la sciagura di esprimere giudizi negativi, sulla politica guerrafondaia che stava attuando Mussolini, ad un giovane fascista. Pochi giorni dopo fu brutalmente aggredito dai fascisti limitesi, Oscar Mazzantini, Ugo Scali e Renzo Bambi, i quali lo lasciarono tramortito in terra. Successivamente Pacini venne licenziato dal Comune,  per poco riuscì a scampare dalla condanna al confino che inizialmente la Commissione provinciale voleva assegnargli[5].

Anche l’OVRA rispose con determinazione e nel 1937 concluse un’ indagine che portò all’arresto di circa 400 empolesi, sospettati di appartenere agli ambienti clandestini del PCd’I[6].

Sebbene questa operazione di polizia politica avesse una portata enorme, la speranza stava  tornando nello spirito degli empolesi. Il senso di rassegnazione cominciò, piano piano, a farsi da parte, facendo posto ad una nuova prospettiva di lotta e di vittoria.

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[1] L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), Roma, Editori Riuniti, 1970, p. 380.

[2] A. Santini, Quaderni, Dattiloscritto inedito conservato all’Archivio Storico del Comune di Empoli, p. 22.

[3] F, Pelini, “Oggetto di speciale ed accorta vigilanza”, L’antifascismo empolese nelle carte del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, in P. Pezzino (a cura di), La tradizione antifascista a Empoli 1919-1948, Ospedaletto (PI), Pacini editore, 2007, p. 101.

[4]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit., p. 381-384.

[5]L. Negro, Limite visto da un limitese, Empoli (FI), C.E.T Cooperativa Editografica Toscana, 1980, p. 143.

[6]M. Carrai, Ad Empoli da cent’anni – La Camera del Lavoro di Empoli, 1901-2001,  Milano, Ediesse editore, 2002., p. 91.