8 – Le vittime del Tribunale Speciale: i numeri della repressione

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Durante i primi anni della clandestinità, l’attività politica del Partito comunista empolese procedeva con grande determinazione, edificando sul territorio una minuziosa organizzazione che seppe operare con grande efficacia e risonanza pubblica. Proprio vista la notorietà con cui i comunisti operavano all’interno dei ceti popolari, sembrava quasi che il Partito comunista fosse legale ad Empoli.

La stampa comunista veniva distribuita senza particolari accortezze, molti giovani davano con sicurezza eccessivo sfoggio delle proprie idee politiche, il regime veniva spesso criticato per le strade trascurando le regole della clandestinità[1].

La nascita del Tribunale Speciale nel ’26 non venne presa con la dovuta serietà da molti, che si sentivano al sicuro all’interno della propria cerchia comunista. Purtroppo il fascismo non sottovalutò mai il potenziale insurrezionale dei comunisti empolesi e non abbandonò mai l’idea di estirpare la minaccia comunista che ancora osava non piegarsi davanti alla sua avanzata, nonostante il trionfo del regime in tutto il resto d’Italia.

La polizia politica segreta dell’OVRA si occupò sempre della questione empolese con grande attenzione, tessendo una folta rete di spie, i così detti “fiduciari”, che avevano il compito di individuare i responsabili dell’attività sovversiva nelle zone sorvegliate.

I sospettati venivano schedati come sovversivi nel casellario politico e quindi sorvegliati continuamente fino a che non venisse trovato il movente giusto per procedere agli arresti[2].

L’OVRA poteva inoltre beneficiare della costante collaborazione con gli uffici politici dei fasci e della milizia, impegnati anch’essi in queste operazioni investigative, che sul territorio vigilavano attentamente per stanare ogni trama cospirativa.

E’ difficile trovare altre zone in Italia colpite dalla giustizia fascista così duramente come fu per la  città di  Empoli.

Gli archivi del Tribunale Speciale, della Prefettura di Firenze, della Pubblica Sicurezza e dei Carabinieri erano pieni di fascicoli riguardanti le indagini e le sentenze che pendevano sulla testa di centinaia di empolesi.

Tra il 1927 e il 1944 si tennero ben 40 processi del Tribunale Speciale riguardanti antifascisti della zona con una media di oltre due l’anno, che deferirono 290 antifascisti, di cui 164  vennero condannati ad un totale di 777 anni di reclusione[3].

Altri 193 empolesi vennero deferiti dalle Commissioni Provinciali, dei quali 108 confinati per un ammontare di 365 anni, mentre 85 furono invece ammoniti[4].

L’obiettivo principale era quello di colpire mortalmente il movimento comunista attraverso la continua incarcerazione dei suoi dirigenti e dei suoi militanti più attivi, affinché si evitasse ogni possibile “contagio”.

Il Partito comunista, come abbiamo già detto, rispose ad ogni retata d’arresto, riorganizzando di volta in volta gli organi direttivi, grazie al prezioso contributo della “riserva” guidata dai valorosi giovani che ne facevano parte.

La prima ondata di arresti riguardante il periodo della clandestinità si abbatté su Empoli nell’agosto del 1927 a seguito di alcune indagini svolte a Firenze durante la quale il fiduciario fiorentino Alfredo Senatori fece il nome di Domenico “Disarmo” Maestrelli e Alfonso Ragionieri, indicati come alcuni tra i principali dirigenti comunisti che operavano nell’empolese e fornendo alla polizia altri nominativi.

I due vennero arrestati assieme a Magazzini, Biondi, Bonfanti mentre gli altri compagni scampati agli arresti, come Pietro Ristori, Dino Maestrelli, Magno Croci e Vasco Marconcini furono costretti a fuggire da Empoli prendendo la via dell’espatrio in Corsica attraverso l’aiuto di alcune imbarcazioni guidate da membri del Partito comunista di Livorno[5].Gli arrestati verranno brutalmente picchiati dai rappresentanti della Pubblica Sicurezza che volevano farli parlare a suon di continue bastonate su tutto il corpo, senza però riuscire ad ottenere alcuna confessione.

In una nota dell’Istituto Gramsci scritta, nel marzo1931, sui compagni empolesi arrestati, viene riportato che Maestrelli, a seguito delle violente percosse ricevute allo stomaco non fu in grado, per un mese, di inghiottire cibo solido. Il Tribunale Speciale, con sentenza n. 128 del 7 novembre 1928 condannò Maestrelli  a sei anni e Ragionieri a 7 anni e mezzo di reclusione ritenuti colpevoli di “ ricostituzione di partito disciolto”[6].

Per Maestrelli questa condanna rappresentò la fine della sua attività politica: provato fisicamente dalle sevizie del carcere, egli morirà nei primi giorni del maggio 1933, pochi mesi dopo essere stato scarcerato su amnistia, non sopravvivendo ad un intervento chirurgico. Il suo funerale si tenne ad Empoli ed ebbe chiari connotati politici. Vi partecipò gran parte della cittadinanza riunita per rendere omaggio ad un amato uomo di partito che aveva dato la vita per una causa comune[7].

Nel 1928 assistiamo ad una nuova operazione di polizia lanciata nella provincia di Firenze, dalle cui indagini vennero scoperti importanti nominativi riguardanti l’organizzazione comunista nell’empolese: Paolo Taddei e Cesare Rigacci, responsabili per gli adulti, e Paolo Vezzosi e Pietro Lari per il settore giovanile, tutti in seguito arrestati assieme ad Orfeo Scardigli. La sentenza definitiva del 12 marzo 1929 non ottenne i risultati sperati, visto che 4 dei 5 imputati furono scagionati per insufficienza di prove, con il solo Scardigli che venne condannato ad un anno e mezzo di carcere[8].

L’impatto di questi arresti non impedì al Partito comunista di edificare il proprio gruppo dirigenziale, riuscendo in questi anni, ad operare con grande produttività grazie al nuovo direttivo di zona composto da Catone Maestrelli, Rigoletto Martini, Remo Scappini, e Armando Baldini, che venivano diretti dalla guida di Rutilio Reali.

La loro attività si dovrà interrompere bruscamente i primi di novembre del 1930 a seguito delle indagini che la questura di Firenze svolse a Signa e che, grazie ad una soffiata da parte di un fiduciario del fascismo, aveva portato all’arresto di alcuni militanti comunisti della zona. Dopo efferate torture, la polizia riuscì ad estorcere alcune importanti informazioni sul radicamento dell’organizzazione clandestina comunista nelle zone di Campi Bisenzio, Montelupo ed Empoli ottenendo anche i nomi di importanti dirigenti toscani del Partito comunista[9].

Fu così che il 3 novembre venne arrestato Rutilio Reali, il quale fu subito sottoposto a violenti e sadici interrogatori, a seguito dei quali non riuscì a desistere dal confessare.

Secondo quanto disse Rineo Cirri:

 

“..Per farlo parlare, gli avevano bucato ripetutamente il sedere con la punta di un pugnale ed era stato costretto a non sedersi per diversi giorni. Il partito diceva che in caso di arresto si doveva negare ogni addebito e soprattutto non si dovevano fare nomi di altri compagni; se poi uno non ce la faceva a resistere alle percosse e alle sevizie doveva limitarsi il più possibile nell’assumersi delle responsabilità (…) Qualche anno dopo vennero ad abitare vicino a me i genitori di Rutilio Reali ed ebbi occasione di vedere le mutande che Reali indossava al momento dell’arresto, che suo padre custodiva insieme ad una bandiera rossa, ed erano macchiate con sangue secco e con decine di fori; anzi il padre di Reali precisò che i fori erano trentasei.[10]

Grazie alle confessioni estorte attraverso le torture su Reali, l’OVRA ottenne i nomi di decine di militanti iscritti al Partito comunista empolese, individuandone sei capi zona (Renato Biondi, Bruno Calvisi, Adolfo Bianconi, Mario Manetti, Enrico Lucani, Augusto Benvenuti) e sei capi cellula (Giuseppe Romano, Giovanni Dolfi, Guerriero Persichini, Duilio Mancini, Fernando Ceccarelli). Il comitato federale comunista empolese verrà identificato e smantellato, riuscirono però a scappare Rigoletto Martini e Remo Scappini che, avvertiti in tempo, espatriarono verso Parigi per mettersi al servizio del Centro estero del partito[11].

Il processo, in seguito alle indagini partite da Signa, fu tenuto dal Tribunale speciale nel 1931. Tra gli imputati Rutilio Reali fu quello che dovette scontare la pena più cara: con sentenza del TSDS del 21 febbraio 1931, a Reali  venne riscontrato il reato di “ ricostituzione di partito disciolto” e di “propaganda sovversiva” e per questo condannato a 9 anni di carcere, da scontare nel penitenziario di Civitavecchia, con l’aggiunta di altri tre anni di sorveglianza speciale e dell’interdizione dai pubblici uffici.

Il calvario di Reali non era ancora terminato. Dopo essere tornato libero su amnistia nel settembre del ’34 venne di nuovo arrestato nel gennaio del ’35  e condannato a 5 anni di confino per “propaganda comunista”. Infine fu internato nuovamente nel ’40 con l’accusa di essere un individuo “pericolo nelle contingenze belliche”, per essere finalmente liberato nell’agosto del ’43.

Scappini e Martini invece verranno arrestati anni dopo mentre stavano dando il loro personale contributo alla causa del partito nelle vesti di “ rivoluzionari di professione”. Scappini fu scoperto a Forlì, dotato di documenti falsi e di una valigia a doppio fondo contenente stampa comunista, e per questo arrestato. Egli non era riuscito ad evitare una trappola che gli era stata tesa da Giuseppe D’Andrea, Ispettore generale di pubblica sicurezza delle Prefettura di Bologna, noto per le sue abilità nel dare la caccia ai comunisti.

Attraverso la sentenza del Tribunale Speciale, del 17 luglio 1934, gli venne imputato di aver ricostituito il Partito comunista ad Empoli e Cesena, di aver svolto propaganda comunista, di aver utilizzato documenti falsi e di essere espatriato clandestinamente, e, sulla base di queste accuse, venne condannato a 22 anni di reclusione[12].

Il suo processo venne seguito da Empoli con grande commozione ma grande fu l’orgoglio che investì i cuori degli empolesi quando vennero a sapere, dalle colonne de L’Unità clandestina, che Scappini durante il processo si era trasformato da imputato ad accusatore, denunciando l’illegittimità del tribunale che lo stava processando e dichiarando orgogliosamente di essere un militante iscritto al Partito comunista d’Italia[13].

Nel 1938 Rigoletto Martini ebbe  invece il grande onore di diventare rappresentante italiano presso il Komintern. Egli però, nel luglio del ’41, venne catturato nella linea di confine mentre stava recandosi in Lubiana e accusato dal Tribunale Speciale di essere uno dei responsabili dell’”organizzazione comunista fiumana”. Condannato a 24 anni di reclusione, morirà il 20 giugno del 1942  nel carcere di Civitavecchia dopo aver contratto una brutta tubercolosi,[14].

Gli arresti del 1931 non risulteranno essere decisivi per la purificazione della zona empolese affetta dalla massiccia presenza dei comunisti che continuavano ancora ad operare, testardi delle proprie idee e impavidi davanti ai gravi pericoli che intercorrevano.

La “riserva” entrerà sempre in gioco e prenderà sempre le redini del partito, il quale, come “un’araba fenice”, riusciva a rinascere ogni volta dalle proprie ceneri.

La polizia non faceva a tempo ad individuare i principali dirigenti comunisti empolesi, che nuovi comitati federali venivano ricostituiti, alla cui testa c’erano sempre giovani valorosi, come Mario Fabiani , Giuseppe Chiarugi, Ginetto Cantini, Mario Assirelli, che, appena ventenni, non esitarono nel prendere sulle proprie spalle tutte le responsabilità dell’organizzazione.

Essi perseverarono nell’operare nella clandestinità nonostante le enormi difficoltà, con il reclutamento che era divenuto difficile da attuare vista la progressiva mancanza di nuovi elementi sconosciuti alla polizia e visto che nel frattempo i collegamenti col Centro del Partito si facevano sempre più difficili e frammentari.

Nel maggio del 1932, attraverso da un’indagine partita da Prato, furono arrestati Remo Del Vivo, Aladino Montanelli, Luigi Bonistalli (responsabile della stampa comunista della zona di Empoli), Ginetto Cantini, Natale Bellucci, Licurgo Benassai (responsabile dei capigruppo delle “cellule di strada”, mentre i dirigenti Mario Fabiani e Giuseppe Chiarugi riuscirono a darsi alla latitanza[15].

Tra il 1937 e il 1939 l’OVRA riuscì infine a mettere a segno una fitta serie di arresti che assestò un colpo micidiale all’organizzazione empolese, individuando gli ultimi militanti e dirigenti rimasti. Vennero per questo tenuti quattro grandi processi, il cui esito convinse i fascisti di aver finalmente estirpato il “cancro comunista” dall’indomabile zona empolese.

Anche in questo caso però si sbagliavano. La brace continuava ad ardere sotto la cenere, e i fatti che porteranno alla seconda guerra mondiale fungeranno da combustibile per appiccare nuovamente l’incendio.

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[1]R. Scappini, in G. Gozzini (a cura di), I compagni di Firenze – Memorie di lotta antifascista 1922-1943, Firenze, Istituto Gramsci-CLUSF, 1979, p. 44.

[2]F, Pelini, “Oggetto di speciale ed accorta vigilanza”, L’antifascismo empolese nelle carte del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, in P. Pezzino (a cura di), La tradizione antifascista a Empoli 1919-1948, Ospedaletto (PI), Pacini editore, 2005, p. 83.

[3]R. Cirri (a cura di), Antifascismo e antifascisti nell’empolese, Firenze, G. Pagnini editore, 1992, p. 10.

[4]S. Terreni (a cura di), Era la Resistenza, Il contributo di Empoli alla lotta contro il fascismo e per la liberazione, Firenze, G. Pagnini editore, 1995, p. 10.

[5]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), Roma, Editori Riuniti, 1970, p. 334-335.

[6]F, Pelini, “Oggetto di speciale ed accorta vigilanza”, L’antifascismo empolese nelle carte del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, in P. Pezzino (a cura di), La tradizione antifascista a Empoli 1919-1948, cit., p. 82.

[7]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit., p. 369-371.

[8]F, Pelini, “Oggetto di speciale ed accorta vigilanza”, L’antifascismo empolese nelle carte del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, in P. Pezzino (a cura di), La tradizione antifascista a Empoli 1919-1948, cit., p. 84.

[9]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit., p. 348.

[10]G. Fulvetti,  L’antifascismo negli anni della clandestinità, 1921-1940, in P. Pezzino ( a cura di ),  Empoli Antifascista – I fatti del 1° Marzo 1921, la clandestinità e la resistenza, cit., p 163.

[11]G. Fulvetti,  L’antifascismo negli anni della clandestinità, 1921-1940, in P. Pezzino ( a cura di ),  Empoli Antifascista – I fatti del 1° Marzo 1921, la clandestinità e la resistenza, cit., p 162-164.

[12]F, Pelini, “Oggetto di speciale ed accorta vigilanza”, L’antifascismo empolese nelle carte del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, in P. Pezzino (a cura di), La tradizione antifascista a Empoli 1919-1948, cit., p. 87-88.

[13]L. Guerrini, Il movimento operaio empolese (1861-1946), cit., p. 373-374.

[14]F, Pelini, “Oggetto di speciale ed accorta vigilanza”, L’antifascismo empolese nelle carte del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, in P. Pezzino (a cura di), La tradizione antifascista a Empoli 1919-1948, cit., p. 90.

[15]G. Fulvetti,  L’antifascismo negli anni della clandestinità, 1921-1940, in P. Pezzino ( a cura di ),  Empoli Antifascista – I fatti del 1° Marzo 1921, la clandestinità e la resistenza, cit., p 170.